Racconto di:
Alfonza Marchese, Daniela Lampasona, Gemma Gullo, Carlo Bramanti, Robert Strange, Tony Paratore, Anonimo.
 
 

Perle di luna

 
 

Caterina, seduta sul divano, guardava la luna che si affacciava dalla finestra di casa sua. Le sarebbe piaciuto abitar lì, sperando che in quel pianeta non ci fossero domande alle quali lei non avrebbe saputo rispondere! Lei, di domande ne aveva tante e le arrovellavano il cervello, come a sminuzzarlo in tanti piccoli pezzetti. Si sentiva stanca, avvilita, delusa.
Era sempre stato così l'uomo che aveva scelto di sposare? Era una finzione la dolcezza di prima, o questo brutto carattere era solo un periodo passeggero e doveva aspettare? Aspettare cosa?
Non le erano bastate tutte le umiliazioni che aveva subito? Si, le erano bastate, ma anche se si fosse ribellata, cosa sarebbe stata la sua vita? Che ne sarebbe stato di lei e dei suoi bambini? Oh! Com'era bella quella opalescente luna che la guardava silenziosa, facendole compagnia!
Nella stanza accanto, sulla tavola apparecchiata, le pietanze coperte da un piatto, si erano freddate oramai da tanto tempo...
Caterina si alzò, si diresse nella camera dei bambini, si avvicinò a ciascun lettino, rimboccò meglio le loro coperte, diede a ciascuno un tenero bacio sulla fronte e con passo soffice si allontanò dalla stanza.
Che gran tenerezza adesso le era in cuore!
Ma quanta solitudine però....
Si riaccomodò meglio sul divano e piano, piano, sotto voce parlò alla sua amica luna.
"Oh ! Luna... In questo mio momento di grande serenità, non ho voglia di distogliere lo sguardo da te, i miei occhi si rifiutano di vedere quello che è la vera realtà. Ma poi, cos'è la realtà che io voglio in questo momento? Si, vedere il mio uomo che mi porta i fiori, che mi bacia, che teneramente mi prende la mano, che si siede accanto a me e che, poggiando il capo sulla mia spalla, mi rende partecipe della sua vita e io della mia. Luna, la senti la sua voce gentile che mi chiede cosa ho fatto di bello? La vedi la sua luce come illumina i miei occhi e i miei occhi, così illuminati, risplendono nei suoi? Oh luna, luna, ma adesso... adesso invece ho paura... sento un uscio, il nostro uscio che si apre ed una belva inferocita mi urla, mi terrorizza, mi mette paura. Nulla gli va bene, nulla ed io ho paura. Ho paura per me, per i miei bimbi: sento che sono in pericolo e che siamo in pericolo, ma io devo assolutamente proteggerli.
Eh si, attirerò su di me la sua attenzione per evitare il peggio. Come riuscire ad alzar il capo?
Oh luna, luna, vedrai, stasera sarà bellissimo, certo sta tardando, ma avrà avuto un impegno, un contrattempo, forse starà dando buoni consigli a qualcuno...."
Poi, un colpo improvviso!
Caterina sobbalzò sul divano.
"Ehi, donna" rimbombò nella casa " Ti avevo detto di aspettarmi seduta a tavola, che cosa ci fai lì sul divano? Brutta sfaticata fannullona, eh certo, la signora tutto il giorno se la spassa a stare a casa. Bella vita che ti offro di fare! Tutto a spese mie, e beh dimmi, spero che sia tutto in tavola ancora ben caldo!”
Caterina alzata in piedi, lo guardava senza parole, con il terrore negli occhi. Si sentiva gelida e pietrificata, ma poi... si vinse e quasi sussurrando lei per lui gli disse"....Ssst, piano, piano, i bambini riposano."
Furente per quel pensiero, l'essere le si scagliò contro e sferrandole un ceffone la fece cadere a terra.
"Ecco, è lì che devi stare, a terra. Comunque ho già mangiato. Vado a letto."
Poi, si sentì ancora qualche rumore sgarbato proveniente dall'altra stanza, un rutto forte e poi più nulla.
Caterina, ancora a terra, quella notte si rialzò piano… piano, girò la testa in direzione dei suoi bimbi e accompagnando un bacio con la mano lo diresse verso loro, poi... si infilò il cappotto e aperto l'uscio uscì per strada.
La luna la guardava.
Con passo frettoloso, senza meta, corse nella notte che per contrasto ai suoi tristi pensieri le si presentava avvolta in un’aurea di luce serena, la stessa luce che emanava quella splendida luna!
Attraversò strade e vicoli che quasi non riconobbe, tanto il dolore le ottenebrava la mente. Non sapeva che fare, dove andare, ma si lasciava trasportare da una forza misteriosa che la spingeva in avanti.
Era la prima volta che aveva avuto il coraggio di reagire, e adesso non doveva fermarsi. Cosa le sarebbe accaduto? Non lo sapeva ancora , ma decise di lasciarsi condurre fin dove il suo istinto l’avrebbe portata, l’importante era che col suo gesto era riuscita finalmente a spezzare qualcosa e quel qualcosa si chiamava: Paura!
Ansimante, giunse in una piccola piazza, dove, sotto un lampione, scorse una panchina. Si affrettò per raggiungerla e quando vi fu vicina si accorse che lì, accoccolato come un bambino, era disteso un barbone, che giocherellava con un oggetto fra le sue rudi mani.
Si accostò un po’ di più per capire meglio cosa fosse. Quale sorpresa quando si accorse che era una statuina di Pierrot, un piccolo carillon da cui ad un tratto venne fuori una dolce nenia musicale. Che tenerezza le suscitò quel poverello senza casa e senza affetti, dimenticato da tutti!!
Sembrava quasi che si consolasse con quel piccolo oggetto, ascoltando le note delicate che da esso si sprigionavano come a fargli la ninna-nanna.
Caterina pensò quasi con invidia: “Quest’uomo è estremamente povero, ma ha un grande tesoro che io non ho più: La libertà!”
Ma come a volere smentire i suoi pensieri, il barbone, che si era accorto della sua presenza, come se avesse compreso lo stato d’animo di lei, cominciò a recitare una strofa con la sua voce roca, accompagnata da quella lieve e struggente musica:


IL MONDO

IL nostro mare l’indifferenza,
IL nostro cielo l’egoismo,
IL nostro cuore una pietra
Troppo preziosa per sprecare parole dolci.
Questo il nostro mondo:
Mondo di ghiaccio, mondo di pietra,
Mondo di mari.
Assurdo chiedere aiuto, inutile chiedere amore,
Nessuno ti udirebbe.
IL nostro cielo è L’EGOISMO.


Quasi una cantilena erano queste parole che ascoltava a rimorchio dei suoi pensieri più brutti. Una rutilante nenia che l'accompagnava, in un dormiveglia agitato, verso un'alba anonima e pallida di un nuovo giorno, dagli abituali contorni grigi e vuoti dentro. E poi, all'improvviso, quel carillon riprese a suonare; sempre più nitido il suo farsi sentire a riportare i ricordi di un'infanzia felice, quale avrebbe voluto, adesso, per i suoi figli. E le venne spontaneo piangere al ricordo di quei giorni che le sembravano essere appartenuti ad un mondo diverso.... si... quasi come se un nero e grande mantello li avesse coperti e tenuti nascosti per così tanto tempo ma che ora, forse grazie all'influsso di quella grande luna dal sorriso splendente, erano tornati a darle forza e coraggio per le sue decisioni, per quei propositi da trasformare in azioni risolute che da tanto tempo, da troppo tempo, ormai, andava rimuginando.
E più il suono del carillon aumentava di intensità, più si faceva strada nella sua testa il convincimento che qualcosa doveva fare, che quel cambiamento tanto sperato era pronto ad arrivare così che una nuova donna, una nuova Caterina, avrebbe potuto presentarsi al mondo con la capacità di dimostrare quanto fosse ancora in grado di dare agli altri ma anche - soprattutto - a se stessa. Avrebbe finalmente compreso che la vita era un dono meraviglioso da vivere attimo per attimo e che questa non era soltanto una banale considerazione, ma una vera e propria filosofia di vita, da attuare in ogni frangente. Avrebbe imparato ad ascoltare i suoi bisogni, a prendersi cura di se stessa, ad essere donna consapevolmente, conscia delle sue capacità grazie alle quali avrebbe saputo farsi rispettare.
Le venne voglia di abbracciare quell’essere umano che con la sua semplice povertà e solitudine, le aveva instillato nuove energie e desideri di riscatto!
Riprese a camminare. Adesso la luna sembrava indicarle la meta da seguire, la guardava sorridente, come fosse amica artefice di quel che le era accaduto fino a quel momento.
Ad un tratto, da lontano le parve di scorgere la sagoma di un uomo nell’atto di scavalcare un ponte.
“Mio Dio!” - pensò, “Quell’uomo sta per gettarsi”.
E corse all’impazzata lungo la strada illuminata dalla luna pallida, con un unico pensiero…
"Signora, non mi guardi così. E non parli... Qualsiasi cosa lei mi dirà non potrà certo colmare il vuoto che mi dilania dentro. E, soprattutto, non potrà ridarmi la donna della mia vita, che se n'è andata per sempre..."
Caterina s'era avvicinata all'uomo, ma era rimasta in silenzio, con le mani in tasca, a guardare un cielo tempestato di stelle di carta. A un tratto, tirò fuori una mano e la porse all'uomo tremante con un piede nel nulla e con un filo di voce domandò:
"Il suo Amore è morto?"
"La mia donna è morta, il nostro Amore non si spegnerà mai!"
"Anche il mio uomo è morto", continuò Caterina. "Lo vedo tutti i giorni, ma è morto, nonostante lui non lo sappia. E ha distrutto pure il nostro Amore... ciò che ne rimaneva. Chi sta peggio? Lei il suo Amore ce l'ha ancora, non vale la pena di vivere per esso?"
A quelle parole, gli occhi dell'uomo sembrarono riaccendersi, come se nel riacquistare la nitidezza del ricordo non avesse mai cancellato le tenere sensazioni vissute.
"Signora, voglio solo riabbracciarla, forse così potrò... Voglio di nuovo vedere attraverso i suoi occhi, condividere con lei ogni attimo..."
Ma Caterina lo interruppe:
"Sebbene il vento insista, il mandorlo tiene i suoi fiori".
"Cosa?" sbigottito la interrogò.
"E' una piccola poesia che lessi tanto tempo fa. Ha dei figli?"
"Si, due".
"Allora, non ascolti i sibili del vento e faccia di tutto per tenersi stretto i suoi fiori... i suoi figli..."
"I suoi figli", si ripeté Caterina nel pensiero e si voltò come volesse vederli lì con lei, poi, chiudendo gli occhi, ritrovò quello scintillante chiarore di luna che le sembrava perso.
Sentì l'uomo accasciarsi a terra, come una marionetta. Lo sentì allontanarsi dal baratro pian piano, sussurrando un flebile "grazie".
Il pericolo era passato.
Anche se la sua vita era rimasta un enorme punto interrogativo, adesso non le importava. Procedeva con passo sicuro in uno strano silenzio, ammantato di pensieri ora distesi. L'indomani mattina, avrebbe tirato su
le persiane e si sarebbe di nuovo fatta inondare dalla prima luce dell'alba, come non le accadeva da tempo. Quell'uomo, quel vento, non le avrebbe più portato via nessun sogno, nessun fiore, perché lei non lo
avrebbe più permesso.
Camminava. Si stava avvicinando sempre di più alla sua meta. La luna continuava a splendere e faceva brillare la strada. Poche auto in giro, ed i marciapiedi erano quasi deserti. Una coppia festosa stava
rientrando a casa. Un lampo d'invidia l'attraversò, ma scomparve prima che la tristezza spezzasse le sue gambe e il suo cammino. Andava per la sua meta. Era come se solo quella via fosse illuminata, e quando alzava la testa per guardare in su, verso la luna, le pareva che le sorridesse.
Si, era così, non aveva più il viso solitario e un poco triste di cui parlavano tante canzoni. Si fermò un istante, e alzò la mano per salutare quella luna che le stava accanto nel cammino. Una lacrima, e poi altre scivolarono sulle sue guance rosee. I lunghi capelli mossi dalla brezza le carezzavano la faccia come a voler asciugare quel pianto. Un campanile lontano batté tre tocchi. Ormai era vicina. Bastava che girasse l’angolo. Una volante dei carabinieri passò velocemente sulla strada quasi deserta in direzione della stazione ferroviaria. Era angosciata per i bambini. Doveva fare in fretta, si disse. Le lacrime aumentavano. Si ricordò il giorno della loro cerimonia nuziale. Era stato tutto talmente… Come era successo che lui mutasse così? Desiderava tanto svegliarsi da questo mostruoso sogno. Svegliarsi e trovarsi
accanto l’uomo dolce e gentile di prima. Le lacrime scorrevano. Doveva farlo. Non poteva permettere che tutto andasse perduto. Lei aveva bisogno di aiuto e soprattutto lui. Forse, c’era ancora una speranza.
Col tempo poteva tornare l’uomo di prima. Un sorriso le si levò dentro di lei al pensiero. Era arrivata e stava salendo le scale.
Suonò alla porta della caserma. Le fu aperto. Spinse la porta e asciugandosi gli occhi con un fazzoletto entrò nell' androne della giustizia. Un carabiniere le si avvicinò. La vide molto turbata e la invitò a sedersi.
Un altro carabiniere stava appena rientrando. Seduta, fu come scossa da brividi. Con una nebbia davanti agli occhi si sentì chiamata: “Signora!”
Scivolò per terra e sentì che qualcuno la aiutava a rialzarsi. Come da una profondità oscura giunsero le parole che lei non avrebbe voluto pronunciare: “Presto…. i bambini… sono soli… con lui… voglio sporgere denuncia… contro… mio marito”.